Alcol, droga & rock ‘n’ roll.

alcol o droga Bichcieri di whisky con pillole

Contrariamente a quello che potrebbe suggerire il titolo, non parleremo di movimenti di contestazione giovanile degli anni ‘60 o di gruppi rock. No, parliamo di commissione di reati sotto l’effetto di alcol o droga. Lo so, il titolo è fuorviante ma dovevo cercare di attirare l’attenzione: il diritto spesso viene ritenuto noioso.

Ma veniamo al punto.
Si legge spesso sui social – anche grazie ad una informazione distorta fornita dai media – che il commettere reati dopo aver fatto uso di alcol o droga costituisce una attenuante.
Non è assolutamente così. Cerchiamo di capire come stanno davvero le cose.

Intendere e volere

Occorre una breve premessa.
Il nostro ordinamento prevede all’art. 85 del codice penale che “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso, non era imputabile . È imputabile chi ha la capacità d’intendere e di volere.”

Non ci occuperemo qui delle teorie relative all’imputabilità perché non basterebbero centinaia di pagine né tratteremo di tutte le cause che escludono o diminuiscono la capacità di intendere e di volere (quali la minore età, il vizio totale o parziale di mente o il sordomutismo). Ci soffermeremo – appunto – sulle conseguenze di commettere un reato in caso di uso di alcol o droga.

Volontarietà e colposità

In base all’art. 91 del codice penale, se l’ubriachezza deriva da caso fortuito o forza maggiore il soggetto che ha commesso il reato non è punibile. L’esempio classico è quello dell’operaio che in una azienda che produce alcolici per un guasto all’impianto respira i vapori alcolici presenti. Se in tal caso poi la capacità di intendere e volere non è del tutto assente ma soltanto scemata grandemente, la pena è diminuita. Tale regola si applica anche per l’assunzione per caso fortuito o forza maggiore di sostanze stupefacenti.

Ma veniamo al caso più interessante della ubriachezza colposa o volontaria, previsto dall’art. 92 del codice penale. In tal caso, l’imputabilità non è né esclusa né diminuita. Ciò vuol dire che se un soggetto si ubriaca (volontariamente o colposamente) e dopo commette un reato, laddove venga accertata la sua responsabilità penale, sarà soggetto a pena. C’è quindi una sorta di “finzione giuridica” in quanto il legislatore fa finta che il soggetto abbia agito nel pieno delle facoltà mentali. Tale disciplina si applica anche per la commissione di reati a seguito di assunzione volontaria o colposa di droghe (art. 93 c.p.).

La predeterminazione

Nel caso in cui invece l’assunzione di alcol o droghe sia preordinata per la commissione di un reato o per prepararsi una scusa (secondo comma dell’art.92 c.p.), la pena è aumentata. Che significa ciò? Che se taluno ha intenti criminosi ma non riesce a compierli da sobrio e assume alcol o droga per riuscire a compierli, laddove venga riconosciuto colpevole, subirà un aumento di pena.
In gergo tecnico, per definire tale fenomeno si usa la locuzione latina “actio libera in causa”. In pratica, il requisito dell’imputabilità non viene valutata al momento in cui il soggetto compie il reato ma in un momento precedente, ossia quando il soggetto si pone in stato di incapacità.

L’abitudinarietà

Che succede invece quando l’ubriachezza o l’uso di sostanze stupefacenti sono abituali?
Tale situazione è disciplinata dall’art. 94 del codice penale che prevede testualmente che: “Quando il reato è commesso in stato di ubriachezza, e questa è abituale, la pena è aumentata. Agli effetti della legge penale, è considerato ubriaco abituale chi è dedito all’uso di bevande alcooliche e in stato frequente di ubriachezza.
L’aggravamento di pena stabilita nella prima parte di questo articolo si applica anche quando il reato è commesso sotto l’azione di sostanze stupefacenti da chi è dedito all’uso di tali sostanze”
.
Ciò significa che per chi è dedito all’uso frequente di alcool e droghe il rimprovero mosso dal legislatore è maggiore rispetto a chi ne fa uso in modo occasionale.
Quindi, anche in questo caso, nessuna attenuante ma – anzi – un trattamento sanzionatorio più severo.

La cronicità

Questa situazione va distinta da quella abituale descritta nell’articolo precedente. Infatti, l’intossicazione cronica presuppone un’alterazione patologica permanente: in pratica, il soggetto è sempre (e non solo abitualmente) segnato dagli effetti di alcool o droga. Ciò significa che i fenomeni tossici sono stabili e rimangono anche dopo l’eliminazione dell’alcol o della droga.
C’è quindi una vera e propria patologia psicofisica: il soggetto è cioè malato e tale malattia elimina o diminuisce la capacità di intendere e di volere. Si pensi, ad esempio, al delirium tremens.
Ora, se tale condizione è tale da eliminare del tutto la capacità di intendere e volere, il soggetto non è punibile. Se invece l’intossicazione cronica fa «scemare grandemente» la capacità di intendere e volere senza eliminarla del tutto, il soggetto è punibile ma la pena è diminuita.

Cosa dice la giurisprudenza?

Come ha chiarito sul punto la Suprema Corte: “Affinché si possa ritenere esclusa o diminuita la imputabilità dell’agente, l’intossicazione da sostanze stupefacenti deve essere caratterizzata dalla permanenza e dall’irreversibilità e, cioè, da condizioni psichiche che permangono indipendentemente dal rinnovarsi dell’assunzione o meno di sostanze stupefacenti, condizioni che, in ogni caso, debbono essere valutate con riferimento al momento in cui il fatto-reato è stato commesso” (Cassazione penale sez. II 15 ottobre 2013 n. 44337 ).

Cito anche un’altra massima, un po’ datata ma che spiega in modo chiaro il concetto: “La situazione di tossicodipendenza che influisce sulla capacità di intendere e di volere è solo quella che, per il suo carattere ineliminabile e per l’impossibilità di guarigione, provoca alterazioni patologiche permanenti, cioè una patologia a livello cerebrale implicante psicopatie che permangono indipendentemente dal rinnovarsi di un’azione strettamente collegata all’assunzione di sostanze stupefacenti, tali da fare apparire indiscutibile che ci si trovi di fronte a una vera e propria malattia psichica.” (Cassazione penale sez. III 08 maggio 2007 n. 35872 ).

Ricordiamo, da ultimo, che l’autore di un reato dichiarato non imputabile potrà comunque essere sottoposto – se riconosciuto socialmente pericoloso – ad una misura di sicurezza.
(per chi volesse approfondire l’argomento delle misure di sicurezza detentive, può soddisfare qui la sua curiosità).
Ma questa è un’altra storia, come scriveva Ende, e si dovrà raccontare un’altra volta.

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